L’ABBAZIA DI SAN PIETRO IN VILLANOVA ED IL

ROMANICO VERONESE

L’abbazia di Villanova rappresenta un’importante espressione del romanico maturo, che si sviluppò nell’area veronese nella prima metà del XII secolo. Al momento della costruzione della chiesa, questa parte del territorio sambonifacese (almeno fino all’Alpone) faceva parte del territorio vicentino (e ancora oggi la diocesi è di Vicenza), eppure tutti i caratteri stilistici sono tipici del veronese1.
Ad inaugurare lo stile "romanico veronese maturo" fu la chiesa di San Giovanni in Valle del 1120, che rappresenta il prototipo sia per quanto riguarda l’impostazione architettonica che ornamentale di tutte le chiese costruite successivamente. Il romanico veronese, che conta un grande numero di chiese, può essere considerato una variante locale del romanico padano che interessò buona parte dell’Italia del nord (esclusa la zona veneziana, dove l’influsso bizantino continuò a prevalere).
Il terribile terremoto del 1117, che colpì buona parte della pianura padana, demolendo o danneggiando gravemente tutti gli edifici in muratura, eliminò buona parte degli esempi di architettura paleocristiana, carolingia e preromanica dei secoli precedenti e fece sì che il romanico prevalse nettamente sugli stili precedenti.
Anche l’abbazia di San Pietro in Villanova è sicuramente nata prima di quel 1131 generalmente accettato come data di costruzione o meglio ricostruzione; infatti l’analisi delle murature e degli elementi decorativi, consentono di individuare varie fasi costruttive di cui alcune certamente anteriori al 1117. Ma quali sono gli elementi più significativi e tipicamente romanici della chiesa?
Prima di tutto la facciata, ricostruita dopo il terremoto, tripartita da due lesene di sagoma triangolare, costruita nella parte inferiore in grandi blocchi di pietra (simili a quelli usati nel campanile) e nella parte superiore da una muratura a fasce alternate di pietra e mattoni con il coronamento di archetti rampanti costituiti da un sol blocco di tufo e dalla cornice a denti di sega. Questa combinazione di elementi decorativi costituisce il motivo ricorrente in tutta l’architettura del romanico maturo di Verona, ripetuto con omogeneità quasi standardizzata. Dalla facciata fu in seguito eliminato il protiro pensile, la cui sagoma è ancora chiaramente visibile, venne aperta una finestra rettangolare al centro ed il rosone sostituì la bifora (nella vicina e simile chiesa della Madonna della Strà di Belfiore è ancora conservata l’impo-stazione originale della facciata). Due anonime aperture rettangolari sostituirono le originarie finestrelle strombate. Anche le statue, i vasi ed il portale sono aggiunte successive.
- La parete a nord della navata laterale è costruita con corsi paralleli di blocchetti di pietra rozzamente squadrati, con un andamento piuttosto irregolare. E’ questa una tecnica costruttiva piuttosto arcaica, ma non essendo presenti elementi decorativi è di difficile la datazione. Ci viene però in aiuto il campanile, la cui data di costruzione è il 1131, ma è evidente come la muratura in grandi blocchi di pietra di questo siano stati appoggiati alla muratura della navatella che, è quindi anteriore. La muratura in alto della navata centrale sembra sia stata realizzata in tre fasi: la prima verso le absidi è uguale al resto della muratura e ne è contemporanea, quella centrale, che è in pietrame meno regolare, e l’ultima verso la facciata, che è in mattoni, sono ricostruzioni forse del XIV secolo. Tutte le cornici di gronda con peducci di laterizio sono ricostruzioni del XIV secolo, realizzate in occasione del rifacimento della copertura (anche questo è forse uno degli interventi voluti da Gugliemo da Modena).
- Nella facciata posteriore le tre absidi presentano ognuna una diversa lavorazione, che testimonia le successive ricostruzioni ed aggiunte. La più antica è quella a sud, probabilmente anteriore al terremoto, costruita con la stessa rozza muratura del fianco a nord. Gli archetti sono qui costruiti con l’accostamento di più pezzi di pietra, con una tecnica piuttosto arcaica. L’abside centrale e quella a nord sono invece state costituite nella parte più bassa da una muratura a conci di tufo, intervallati da un solo corso di mattoni romani (sesquipedali) con una tecnica caratteristica della fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Nella parte alta la muratura è invece tutta di tufo perfettamente tagliato che si conclude, nell’abside centrale, con un coronamento di archetti a doppia ghiera e denti di sega, in tutto simile alle forme di San Giovanni in Valle. Il muro sul quale si innestano le absidi, visibile in alto, è costruito in blocchetti di pietra rozzamente squadrati come nella parete a nord, unica apertura una finestra cruciforme che ritroviamo in molte altre chiese dell’epoca.
- All’interno la struttura a pilastri e colonne alternati e i relativi motivi decorativi, ricordano così da vicino sia San Giovanni in Valle che la Madonna della Strà di Belfiore, da poter pensare agli stessi esecutori (forse Borgo e Malfato che nel 1143 lasciano la loro firma nella chiesa di Belfiore?). Uno dei capitelli romanici di San Pietro, che raffigura quattro animali (cinghiali?) agli angoli, è stato messo in relazione dall’Arslan con analoghe sculture presenti sia a San Giovanni in Valle che nel Duomo di Verona e attribuiti a tal "Peregrinus", uno scultore attivo all’inizio del XII secolo. Il piano del presbiterio è molto più alto (12 scalini) di quanto si può vedere in chiese simili, forse per l’impossibilità di interrare maggiormente la cripta sottostante. Gli arconi ribassati del presbiterio sono un intervento successivo, resosi necessario per ampliare lo spazio con l’eliminazione della colonna intermedia. La copertura era, come al solito, in capriate lignee ed è ancora esistente sotto le volte a crociera di epoca barocca. Questo intervento ha notevolmente alterato le originarie proporzioni della navata centrale che era caratterizzata, come è ancora visibile nelle chiese sorelle dell’abbazia, dalla spiccata verticalità. Anche le nuove finestre più grandi, sia in facciata che nella navata centrale (in origine erano tutte finestrelle strombate), hanno modificato l’illu-minazione e la spazialità interna. Altre parti sono interventi barocchi, come la grande scalinata che porta al presbiterio e gli angeli reggicandelabro.
- La cripta è per certi versi la parte della chiesa più "romanica". La tipologia è comune ad altre cripte romaniche come a San Giovanni in Valle, a San Zeno, a San Salvaro ecc., ma qui la selva di colonnine, nel buio appena rischiarato dalle poche finestrelle a strombo, ottiene un effetto di grande suggestione. I capitelli delle colonne sono quasi tutti a otto spicchi, di influenza bizantina, simili ad una colonna della navata e ad altri presenti in chiese romaniche degli anni venti-trenta del XII secolo.
- Alla chiesa, che fin dall’origine faceva parte di un importante monastero, era senz’altro collegato un chiostro romanico, di cui non è rimasta traccia ma che possiamo immaginarci simile a quello di San Giorgio di Valpolicella. L’attuale chiostro, completamente stravolto dagli interventi posteriori, conserva, inglobate nella muratura, alcune arcate gotiche in mattoni che si possono far risalire agli importanti lavori di ristrutturazione fatti fare dall’abate Guglielmo da Modena intorno al 1400.

- Il campanile, il più possente tra quelli romanici, ha inciso nella parete a est un’iscrizione poco leggibile e spesso mal riportata, che ricorda come la costruzione iniziò ad opera di Uberto, nel 1131. Del campanile romanico esiste solo la base, costruita in enormi blocchi di pietra perfettamente tagliati ed aderenti; forse la parte superiore crollò o non fu mai completata.
L’attuale cella campanaria con le trifore gotiche e la pinasono pure opera dell’abate Guglielmo da Modena. Se fosse stata completato, il campanile avrebbe probabilmente raggiunto l’altezza di 40 m. come quello di San Martino di Negrar.
L’abbazia, fin dalle origini, ebbe una grande importanza per la sua posizione su di una delle strade più importanti del nord Italia.
Il fenomeno del pellegrinaggio, così diffuso nel primo medioevo sulle strade del Cristianesimo, trovò senz’altro nell’abbazia di Villanova, che veniva a situarsi ad una giornata di marcia da Verona e Vicenza, un sicuro punto di sosta e luogo di culto. E’ rimasta una suggestiva testimonianza di questo momento vissuto dall’abbazia, incisa ripetutamente sui pilastri della navata della chiesa. Questo strano disegno è oggi di difficile interpretazione e per molto tempo il suo significato è rimasto oscuro, ma ciò che è raffigurato in maniera schematica non è altro che la pianta di una scarpa a punta, un modello chiaramente medioevale, che costituiva il "simbolo del pellegrino". Quindi, anche se questo segno è di poca importanza rispetto a tutte le opere d’arte contenute nella chiesa, assume il grande valore di testimonianza di un’epoca.- La parete a nord della navata laterale è costruita con corsi paralleli di blocchetti di pietra rozzamente squadrati, con un andamento piuttosto irregolare. E’ questa una tecnica costruttiva piuttosto arcaica, ma non essendo presenti elementi decorativi è di difficile la datazione. Ci viene però in aiuto il campanile, la cui data di costruzione è il 1131, ma è evidente come la muratura in grandi blocchi di pietra di questo siano stati appoggiati alla muratura della navatella che, è quindi anteriore. La muratura in alto della navata centrale sembra sia stata realizzata in tre fasi: la prima verso le absidi è uguale al resto della muratura e ne è contemporanea, quella centrale, che è in pietrame meno regolare, e l’ultima verso la facciata, che è in mattoni, sono ricostruzioni forse del XIV secolo. Tutte le cornici di gronda con peducci di laterizio sono ricostruzioni del XIV secolo, realizzate in occasione del rifacimento della copertura (anche questo è forse uno degli interventi voluti da Gugliemo da Modena).
- Nella facciata posteriore le tre absidi presentano ognuna una diversa lavorazione, che testimonia le successive ricostruzioni ed aggiunte. La più antica è quella a sud, probabilmente anteriore al terremoto, costruita con la stessa rozza muratura del fianco a nord. Gli archetti sono qui costruiti con l’accostamento di più pezzi di pietra, con una tecnica piuttosto arcaica. L’abside centrale e quella a nord sono invece state costituite nella parte più bassa da una muratura a conci di tufo, intervallati da un solo corso di mattoni romani (sesquipedali) con una tecnica caratteristica della fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Nella parte alta la muratura è invece tutta di tufo perfettamente tagliato che si conclude, nell’abside centrale, con un coronamento di archetti a doppia ghiera e denti di sega, in tutto simile alle forme di San Giovanni in Valle. Il muro sul quale si innestano le absidi, visibile in alto, è costruito in blocchetti di pietra rozzamente squadrati come nella parete a nord, unica apertura una finestra cruciforme che ritroviamo in molte altre chiese dell’epoca.
- All’interno la struttura a pilastri e colonne alternati e i relativi motivi decorativi, ricordano così da vicino sia San Giovanni in Valle che la Madonna della Strà di Belfiore, da poter pensare agli stessi esecutori (forse Borgo e Malfato che nel 1143 lasciano la loro firma nella chiesa di Belfiore?). Uno dei capitelli romanici di San Pietro, che raffigura quattro animali (cinghiali?) agli angoli, è stato messo in relazione dall’Arslan con analoghe sculture presenti sia a San Giovanni in Valle che nel Duomo di Verona e attribuiti a tal "Peregrinus", uno scultore attivo all’inizio del XII secolo. Il piano del presbiterio è molto più alto (12 scalini) di quanto si può vedere in chiese simili, forse per l’impossibilità di interrare maggiormente la cripta sottostante. Gli arconi ribassati del presbiterio sono un intervento successivo, resosi necessario per ampliare lo spazio con l’eliminazione della colonna intermedia. La copertura era, come al solito, in capriate lignee ed è ancora esistente sotto le volte a crociera di epoca barocca. Questo intervento ha notevolmente alterato le originarie proporzioni della navata centrale che era caratterizzata, come è ancora visibile nelle chiese sorelle dell’abbazia, dalla spiccata verticalità. Anche le nuove finestre più grandi, sia in facciata che nella navata centrale (in origine erano tutte finestrelle strombate), hanno modificato l’illu-minazione e la spazialità interna. Altre parti sono interventi barocchi, come la grande scalinata che porta al presbiterio e gli angeli reggicandelabro.
- La cripta è per certi versi la parte della chiesa più "romanica". La tipologia è comune ad altre cripte romaniche come a San Giovanni in Valle, a San Zeno, a San Salvaro ecc., ma qui la selva di colonnine, nel buio appena rischiarato dalle poche finestrelle a strombo, ottiene un effetto di grande suggestione. I capitelli delle colonne sono quasi tutti a otto spicchi, di influenza bizantina, simili ad una colonna della navata e ad altri presenti in chiese romaniche degli anni venti-trenta del XII secolo.
- Alla chiesa, che fin dall’origine faceva parte di un importante monastero, era senz’altro collegato un chiostro romanico, di cui non è rimasta traccia ma che possiamo immaginarci simile a quello di San Giorgio di Valpolicella. L’attuale chiostro, completamente stravolto dagli interventi posteriori, conserva, inglobate nella muratura, alcune arcate gotiche in mattoni che si possono far risalire agli importanti lavori di ristrutturazione fatti fare dall’abate Guglielmo da Modena intorno al 1400.
- Il campanile, il più possente tra quelli romanici, ha inciso nella parete a est un’iscrizione poco leggibile e spesso mal riportata, che ricorda come la costruzione iniziò ad opera di Uberto, nel 1131. Del campanile romanico esiste solo la base, costruita in enormi blocchi di pietra perfettamente tagliati ed aderenti; forse la parte superiore crollò o non fu mai completata. L’attuale cella campanaria con le trifore gotiche e la pinasono pure opera dell’abate Guglielmo da Modena. Se fosse stata completato, il campanile avrebbe probabilmente raggiunto l’altezza di 40 m. come quello di San Martino di Negrar.

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